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La storia dell’alpinismo negli anni ’30 si è colorata della corsa alla conquista delle tre grandi pareti nord delle Alpi. Il Cervino, l’Eiger e le Grand Jorasses. Le prime due richiedono un coerente stato di innevamento che le rendano meno soggette ai pericoli oggettivi delle stesse montagne. La parete nord delle Grand Jorasses, nonostante sia l’ultima ad essere stata conquistata, è l’unica che per essere percorsa agevolmente richiede delle condizioni “secche” tipiche del periodo tardo estivo nelle Alpi occidentali.

Estate 2020, quella post-covid, sono in giro in dolomiti per effettuare qualche salita di fine stagione. Stagione, che è stata molto ricca di salite e soddisfazioni. Mi contatta Chris, quello che io definisco “l’Alpinista”. Americano di Boulder, Colorado, si è trasferito a Genova ed insieme abbiamo già condiviso più di qualche giornata in falesia e alcune in montagna. Mi propone di fare una salita e mi parla di due idee, la diretta dei capuccini al Grand Capucin e la via Cassin allo Sperone Walker, parete nord delle Jorasses.

Entrambe sono allettanti, ma la Cassin, la Cassin è la Cassin! Optiamo alla fine per quella, verificando prima le condizioni e le meteo, sono ancora in Dolomiti, ma l’avventura è già iniziata! I preparativi sono frettolosi, e comprendono una deviazione ad Arco di Trento (famoso oltre che per l’arrampicata, anche per gli affari nei negozi specializzati) per recuperare una corda singola leggera da 60m. Scelta che si rivelerà vincente su un itinerario del genere.

Organizziamo la logistica e in un baleno partiamo, prima fermata è il parcheggio della Skyway, per lasciare l’auto e prendere un tattico Flixbus che ci porterà a Chamonix. Da lì si prende il mitico “trein du Montenvers” che ci porta all’imbocco della Mer de Glace. Una verticale discesa per ferrata fino al ghiacciaio e poi via veloci verso il rif. di Leschaux, dove ceneremo all’esterno e dormiremo. Questa è davvero una fermata tattica, perchè dal rifugio tramite apposito binocolo e relazione abbastanza dettagliata si può studiare per bene l’intero percorso del giorno successivo. La via in sè è abbastanza logica, la cosa importante è riuscire a capire dove si è, per evitare di finire fuori percorso, cosa che complicherebbe non poco la giornata, rendendo i tempi particolarmente lunghi.

Il nostro piano è quello di partire alle 2 del mattino per attaccare la via alle 4 e cercare di uscire in giornata dallo sperone, alto 1200m. Attaccheremo al buio e dopo circa due tiri inizieremo una lunga conserva che ci porterà ad essere alle prime luci sotto la fessura Allain-Rebuffat, passaggio più complicato dell’intera via. Saranno con noi sulla via una coppia tedesca, partita appena dietro di noi. e degli inglesi che hanno bivaccato sul ghiacciaio. La salita nella prima parte fila liscia, e la temperatura è anche gradevole. Dopo la fessura, una zona abbastanza semplice porta brevemente all’attacco del diedro di 75m. Con due lunghi tiri si affrontano questi delicati diedri e appena usciti si unisce a noi un simpatico vento gelido da nord-ovest, che alla lunga ci farà consumare tante energie in più e ci lavorerà lentamente ai fianchi.

Dopo un breve tratto caratterizzato da un camino nero si affronta un particolare passaggio di pendolo. Mi affido alle spiegazioni di Chris ed eseguo, una manovra abbastanza singolare da fare a metà dello sperone. La sezione successiva, quella delle Placche nere è forse quella più delicata e complessa da individuare. Questa lunga sezione porta alla lunga cresta, particolarmente evidente nelle binocolate del giorno precedente. E’ una cresta atipica, verticale e di IV+ continuo. Il vento ora tende ad aumentare e vanifica i pochi raggi di sole che lo sperone prende nel tardo pomeriggio. Più in giù un possente elicottero nero recupera la coppia tedesca rimasta ormai centinaia di metri indietro e probabilmente sfinita.

Sono le 18 passate e ci rimane la lunga sezione dei camini rossi, particolarmente ostici in queste condizioni secche e a questo punto della giornata. Li affrontiamo lentamente, e ci prendiamo qualche pausa per vestirci più adeguatamente visto il vento incessante, Ci diciamo che ormai non ha senso correre e che in ogni caso riusciremo ad uscire in cima ancora con la luce. E così, alle 20 circa sia fuori dallo sperone ed in cima a Punta Walker. La notte la passeremo però bivaccando appena più sotto dove al limite tra il ghiaccio e la roccia sulla normale alle Jorasses c’è qualche posticino appena comodo., temperatura decisamente freddina.

Personalmente sono sfinito, sopratutto dal vento che non tende a calare e mi infilo nel sacco e nel telo termico, mentre Chris, fresco come una rosa si mette all’opera per prepararsi un bel brodo da gustare insieme allo spettacolo di qualche fiocco di neve che colora questo suggestivo tramonto. La notte è caratterizzata dal vento che probabilmente aumenta ancora e rompe il mio telo termico. Prima però lo stesso telo aveva fatto fin troppo il suo e a causa del calore era tutto zuppo. Solo con il sacco il resto della notte è stato perfino migliore.

Siamo svegliati dalle prime luci e ovviamente anche dal vento, ci mettiamo un po’ ad uscire dalla catalessi e piano piano prendiamo la via normale per scendere a valle, lato italiano. Lentamente affrontiamo, tra roccia e ghiaccio, i 1400m di dislivello che ci dividono dal rifugio Boccalatte, dove ad ora di pranzo ci concediamo una meritata mega-pasta! Lì al rifugio troviamo sfiniti i quattro inglesi che avevano bivaccato sul ghiacciaio due giorni prima. Ci dicono di essere arrivati in cima a mezzanotte e di avere iniziato subito la discesa verso il rifugio che hanno raggiunto dopo più di undici ore… Meglio bivaccare in alcune situazioni, ed evitare di esporsi ad eccessivi rischi dovuti alla stanchezza in posto come le Jorasses.

Con questa salita, condivisa con un supereroe di nome Chris, le Grand Jorasses sono diventate (anche per altre salite) la mia montagna preferita… e ancora qualche salita imperdibile mi manca….

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